Oggi facciamo tappa al cinema. Partiamo dal film Beata Ignoranza, uscito nelle sale il 23 febbraio 2017 per la regia di Massimiliano Bruno e con Marco Giallini e Alessandro Gassmann, incentrato sulla dipendenza dalla rete, ma anche sull’amicizia e sulla famiglia, per fare alcune considerazioni su questo nostro mondo digital e social.
Beata Ignoranza: la trama
Ernesto (Marco Giallini) e Filippo (Alessandro Gassmann) sono diametralmente opposti, ma hanno molto più in comune di quanto si pensi. Entrambi sono professori di liceo, l’uno di italiano, l’altro di matematica, e con un passato da amici in cui condividevano le stesse passioni, tra cui la medesima donna (Carolina Crescentini), morta proprio a causa di un messaggio al cellulare che inviava mentre guidava.
Due mondi, uno conservatore che rifiuta totalmente la connessione ad internet e con un telefono preistorico, l’altro progressista e perennemente collegato alla Rete, incallito seduttore sui social network, che ha creato anche una sua app per risolvere equazioni, limiti ed insegnare la matematica.
L’uno, inizialmente estraniato e perso senza la sua connessione, tanto che si fa anche dare “ripetizioni” sui limiti dal suo coinquilino, che poi decide di portarsi in classe per spiegarli, essendo “limitato” senza la Rete. L’altro, abituato ad immergersi nelle sue letture e poesie e da anni e anni senza una donna, viene sempre distratto dalle notifiche e diventa spaccone, sfrontato e solo grazie ad un nome di fantasia, “un alter ego”, Ernesto riesce a chattare, a parlare e poi avere un vero appuntamento, con Margherita Seppi (Valeria Bilello), la collega che insegna nel loro stesso liceo.
Tutto parte da un video che immortala una litigata in classe tra i due protagonisti: “Chi non si aggiorna su quello che accade in rete è un ignorante… Allora beata ignoranza!” e che diventa virale in rete e da lì nasce l’idea della ragazza Nina (Teresa Romagnoli) di girare un documentario sull’uso dei social, e di poter stare così più tempo con il suo padre biologico (Filippo) e contemporaneamente con quello che considera il vero padre in quanto l’ha cresciuta (Ernesto).
In particolare il documentario cercherà di indagare cosa succede se una persona social e digital addicted viene allontanata dalla rete e per di più inserito nel gruppo di recupero dei “dipendenti dalla rete” e l’altro riluttante alla tecnologia inizia un processo di “iniziazione” al mondo dei social e della rete in generale. La rivalità dei due ex amici ora si trasferisce e si gioca anche tra l’online e l’offline.
Passeggiando lungo il laghetto, Filippo/Alessandro Gassmann, parla finalmente a se stesso, ammettendo:
“Alla fine questa storia dell’appuntamento con me stesso mi è stata molto utile. Ho incontrato un sacco di persone, immaginato le loro vite, altro che le serie americane che mi sparavo solo sul divano. Mi sento meglio. È come se mi fossi ricordato qualcosa di me che avevo completamente messo da parte. La vita quando non è mediata da tutto quel rumore, da tutte quelle informazioni, ha una sua poesia profonda, semplice. E forse si diventa superficiali e indifferenti perché non sentire niente ti fa illudere di stare bene… Mi è rinvenuta voglia di mettermi in gioco”.
Beata Ignoranza & il mondo Social
La genesi del film Beata Ignoranza parte proprio da un post pubblicato su Facebook dal regista Massimiliano Bruno, quattro anni fa, dove in cui si lamentava proprio che per restare sempre online, leggeva meno libri, andava meno a teatro e la sua vita sociale era diminuita.
I social e le app di messaggistica hanno invaso le nostre vite e cambiato le nostre abitudini, modificato il nostro linguaggio e il modo di relazionarci agli altri.
Cena tra amici? Si scattano foto ai piatti prelibati della serata e si postano sui social, taggando il locale, mettendo la localizzazione e se si è con gente “figa” la si tagga pure. E invece di parlare con gli amici seduti al tavolo, che magari non vedi da una vita, che si fa? Si chatta con altre persone che sono al di là dello schermo, l’“altrove” regna ed impera sempre più dell’hic et nun.
Ma se è una cena con una nuova conquista, bisogna evitare di farla comparire nella foto o semplicemente basta “decapitarla” in modo da non far comparire il volto e raccontare all’altra “Era solo una cena di lavoro” e le mani di donna e la scollatura ovviamente solo una collega.
E l’appuntamento galante tra uomo e donna? Cosa c’è di peggio ignorare l’altro e fissare il cellulare, facendo finta di ascoltare o ancor peggio mentre si cerca di chiacchierare, l’altro dice “Aspetta un attimo” e risponde ai messaggi da quattro chat diverse, non dando un minimo di importanza, ma soprattutto rispetto all’altro. E l’appuntamento è così tra lui, lei, l’altro che è lo smarthphone ma al di la di esso si può celare chiunque, ottime prospettive per una storia del genere.
E magari nella stessa casa si ci parla da una stanza ad un’altra col cellulare e i messaggi piuttosto che scomodarsi ad alzarsi, come nel film nelle ultime scene quando Filippo, all’ospedale, deve chiamare il fidanzato di Nina che ha avuto una bimba.
Anche quando si è al centro commerciale, si guardano un paio di stilose decolté e cosa succede? Scatta immediatamente la foto da mandare su WhatsApp nei gruppi per essere “glamour”. E nel camerino di un negozio di abbigliamento? Ovviamente si mettono i capi, i vestitini o giacche in pelle se mai impercettibilmente diverse per una cerniera, da mandare in chat per farsi consigliare.
E miliardi di selfie si scattano per scegliere quello migliore, con la luce e la posa ottimali, e modificandoli con i filtri.
Le notifiche, i blink, le vibrazioni, i like, le reaction, le emoticon, i commenti, le storie, diventano quasi una rassicurazione nelle giornate che scorrono tutte uguali ed è molto più semplice abbordare qualcuno online, fare e sentirsi fighi, forti e potenti dietro ad una tastiera e gli schermi che siano quelli del pc o quelli mini degli smartphone. Tutti ti cercano, ti messaggiano, commentano i tuoi status e si ci sente accettati, gratificati, si ha il “consenso” che aumenta l’autostima e la fiducia in sé. D’altronde i like sono come la dopamina, la cioccolata e ti mettono di buon umore, ti gasano e poi non puoi farne più a meno, aumentando sempre più le ore di connessione sui social.
Secondo una recente infografica di Mediakix, ripresa in un articolo da Francesco Russo, sui social si trascorrono 5 anni e 4 mesi della propria vita. E quando le proprie “vanity metrics” giocheranno a ribasso? Quali sarebbero gli effetti quando si vedono che le proprie quotazioni subiscono scossoni o addirittura un netto calo?
Conclusioni
Occorre trovare il tempo per sé, riappropriarsi dei propri spazi e non farsi inondare e lasciare che le notifiche ci affoghino.
Occorre un uso consapevole e controllato dei social di cui non si può far a meno né per divertirsi e relazionarsi né per business, le aziende e soprattutto start up e pmi devono essere online e farsi trovare, ma mai farsi sopraffare dalla tecnologia. Come affermavo anche nell’intervista per il blog di Antonio Luciano, i social hanno diminuito le distanze tra le persone e ribaltato il tradizionale rapporto azienda e cliente, ma occorre saperli utilizzare nelle giuste dosi, senza strafare e saperne prendere anche le distanze.
Vi lascio riflettere ulteriormente con le illuminati citazioni della terapeuta nel film Beata Ignoranza, impersonata da Michela Andreozzi: “L’inutile riempie il vuoto e diventa necessario” ed ancora “non è il mezzo che porta alle patologie ma l’uso che se ne fa”.
Brava.
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Grazie mille!!! 😀
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